Un plebiscito in piazza
Piazza del Plebiscito, la storia - parte terza
La Storia fa nuovamente capolino nella piazza il 21 ottobre 1860. L’esercito piemontese, senza dichiarazione di guerra, ha invaso da nove giorni il Regno delle Due Sicilie. Così, per rimediare alle trame e agli abusi in salsa real politik ideati da Cavour e, soprattutto, alla mancanza di legittimazione che potrebbe nascere dall’impresa garibaldina e dalla forte resistenza della popolazione alla “liberazione” per opera dei bersaglieri sabaudi, sull’onda di quanto accaduto in altre parti d’Italia, si decide di indire un plebiscito: “Il popolo vuole l’Italia una ed indivisibile con Vittorio Emanuele come re costituzionale per sé e i suoi legittimi successori?”, il testo sottoposto ai votanti. Non è difficile scorgere la volontà di stroncare qualsiasi ipotesi che non sia l’annessione al Regno dei Savoia. Non un nuovo regno d’Italia e men che mai una repubblica. Per incoraggiare la partecipazione viene elargito il voto universale ante-litteram. Però il giorno prima Napoli è riempita di cartelli dove è scritto che i sostenitori del “no” saranno considerati nemici della patria. «Tutte le notizie che giungono da Napoli concordano nel rappresentare il paese come decisamente ribelle all’annessione piemontese, e assai poco curante dell’unità italiana» , scriverà il Duca di Gramont, ambasciatore francese a Roma, al suo Ministro degli esteri, Thouvenel.
«Basta che si manifesti il desiderio di votare per il mantenimento dei Borbone, perché si venga arrestati e rinviati a giudizio» (1)“Senza accertare l’identità delle persone e fin votando i soldati, si deponevano in urne distinte i Sì e i No, che lo rendeva manifesto il voto; e fischi, e colpi e coltellate a lo desse contrario. Un villano gridò: Viva Francesco II! E fu ucciso all’istante” (2) Le urne sono poste sotto il colonnato di san Francesco di Paola, poco distanti dalle statue dei Re Borbone. Nasce così il nome della Piazza.
I topoi borbonici
Nonostante il notevole impegno di casa Savoia, “Piazza del Plebiscito” resta ancora disseminata di segni della dinastia borbonica. Al vertice degli archi di ingresso laterale dell’emiciclo rimane un ritratto in ghisa di Ferdinando I, mentre alcuni gigli, stemma della casata, resistono in qualche colonna ionica del porticato. Le balaustre che custodiscono i monumenti delle statue equestri non ne conservano più. Erano inscritti nei cerchi di ferro delle ringhiere che uniscono le piccole colonne e sono stati sostituiti dallo stemma del comune di Napoli. Sul palazzo della prefettura, ex palazzo dei ministri di stato, campeggia invece una lapide dedicata a Garibaldi (3).
Avviso ai turisti
Un altro – e ben vivo – topos borbonico, è quello sorto nel ’700 dopo la scoperta degli scavi di Pompei ed Ercolano, allorquando le élite europee partivano per un Gran Tour meridionale, alla scoperta di terre di bellezza inaudita e allo stesso tempo esotiche, perché popolate da genti arretrate ma passionali, povere ma allegre, infingarde e selvagge, ma intriganti. I Lazzari, tutti ozio e maccheroni, erano i diavoli che abitavano questo paradiso, a cui si contrapponeva una ristretta cerchia di illuminati cittadini. Una visione confermata dall’efferatezza con cui la plebe partenopea infierì prima sui martiri della Repubblica del 1799 e poi sui patrioti nel 1848. E un’immagine utilizzata – anche politicamente – per descrivere il Mezzogiorno come riottoso all’Unità e quindi alla civiltà, i cui depositari, va da sé, sono i visitatori giunti dal Nord (4).
Qualche nota di chiusura
Nel 1885 al centro della piazza venne sistemata una fontana che convogliava le acque del neonato acquedotto partenopeo, il Serino, con cui si voleva sancire la fine dell’epidemia di colera e l’inizio del Risanamento. La fontana sparisce agli inizi del ’900, per ricomparire esattamente cento anni dopo, nel 1985. Ci vorranno due anni di incuria per spingere l’amministrazione a rimuoverla definitivamente.
Nel 1921 vi si svolgono le esequie del grande tenore Enrico Caruso.
Durante la seconda guerra mondiale le statue equestri vengono bardate per ripararle da eventuali danni di natura bellica e la piazza viene recintata con filo spinato.
Le botteghe dell’emiciclo cominciano a chiudere dopo la guerra. Ne restano, oltre un bar, una piadineria e un info point, a oggi soltanto due in senso tradizionale: l’Archivio Fotografico Parisio e la Libreria Internazionale Treves. La proprietà giuridica dei locali è del FEC (Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno) ma, da una decina di anni, sono state prese in affitto dal comune di Napoli. Molte restano misteriosamente chiuse.
Negli anni ’50 la piazza diventa uno stazionamento di autobus. Nel 1963 un parcheggio di auto.
Durante il regime fascista e nel corso della cosiddetta I Repubblica viene più volte scelta come sede di comizi elettorali. Il calo di partecipazione che si registra nella seconda porta sempre più spesso a escluderla.
Il 19 settembre 1981 il cantautore partenopeo Pino Daniele, davanti a duecentomila persone, tiene un concerto che rimarrà storico e che anticiperà la stagione dei “grandi eventi”. Lo seguiranno a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo, Paul McCartney, Elton John, Massimo Ranieri, Andrea Bocelli e più di recente Ligabue, Laura Pausini e Bruce Springsteen, per citare i più noti.
Nel 1994 grazie ai fondi stanziati per il G8 viene rifatta la pavimentazione e viene chiusa al traffico. Per alcuni mesi la città si divide tra chi ne chiede a gran voce la riapertura e chi invece appoggia la scelta dell’amministrazione, che tiene duro. Da qui poi nascerà la stagione delle installazioni degli artisti affermati, tra cui ricordiamo Mimmo Paladino, Anish Kapoor, Richard Serra, Rebecca Horn, Jannis Kounellis e Luciano Fabro.
Oggi la piazza versa in uno stato di sostanziale abbandono. Cadute le monarchie e le celebrazioni dei reali (la sua vocazione architettonica), stenta a ricollocarsi, come se fosse un disoccupato dei nostri giorni. I bambini urinano sulle colonne ioniche, i barboni all’interno dell’emiciclo. Giovani nottambuli, innamorati e tifosi, imbrattano monumenti e luoghi di vernice spray, con promesse d’amore e tifo razziale. Leggendole si ha la sensazione che l’analfabetismo stia tornando prepotente, come una sorta di maledizione dei lazzari.
Nel 2015 è stato restaurato l’emiciclo e da poco sono state perfezionate le assegnazioni dei locali del porticato, che nel frattempo sono tornati al Fec.
Di sera, se si è molto fortunati, si può sentire qualche musicista suonare il sassofono o qualche altro strumento tra le colonne del porticato.
Note
(1) Tommaso Pedio, Vita politica in Italia meridionale, 1860-1870 – La Nuova Libreria Editrice, 1966
(2) Cesare Cantù, Storia Universale – 1886
(3) (3) Angelo Forgione, Il “Regio Foro Ferdinandeo”, storia di Piazza Plebiscito, Dall’età pre-cristiana all’aspetto attuale firmato Ferdinando di Borbone, su www.napoli.com
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(5) (4) Per questo e il paragrafo precedente Cfr. Francesco Barbagallo, Mezzogiorno e questione meridionale: (1860/1980) – Guida Editore, 1980 e Antonino De Francesco, La palla al piede. Una storia del pregiudizio antimeridionale – Feltrinelli, 2012\
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