L'Appocundria che scoppia 'mpietto
in memoria di Pino Daniele
Chiunque serbi un ricordo di quella sera sa che l’anima della città si prese lo sfizio di cantare e danzare, libera come una ballerina felice. Di esprimere nel canto le proprie radici fino a fargli sfiorare il cielo. Il dolore mescolato alla gioia di esistere.
19 settembre 1981, il giorno di San Gennaro. Piazza del Plebiscito. Pino Daniele e la sua band tengono il più grande concerto della storia di Napoli. Così grande da oscurare il miracolo di San Gennaro e segnarne il cammino per sempre. Dopo la città non sarà più la stessa. Avrà imparato che quando vuole sa scrollarsi di dosso vittimismo e oleografia, che nelle sue viscere viaggiano frammenti di una forza vulcanica, che la sua lingua può arrivare dove i racconti ufficiali finiscono.
Daniele e la sua band, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, James Senese, Joe Amoruso e Rino Zurzolo, sono addirittura intimoriti. Restano impressionati dalla marea di gente che è venuta a vederli. Duecentomila persone, forse più, molti riescono a stento a vedere il palco. Volevano suonare nella più grande piazza di Napoli, si ritrovano a raccontarne la storia. In realtà lo hanno già fatto, ma non ne sono consapevoli. Non sanno quanto sono entrati nella vita quotidiana di ogni famiglia, di ogni casa. Non hanno ancora capito, non del tutto, che i loro pezzi sono fotografie animate, l’incrocio dei suoni fra il Viento e’ Terra e Chi tene o’ mare, che quei testi cantati sono la voce della carne viva dei Napoletani. Rappresentano non solo il mondo che li circonda, ma abbracciano tutte le latitudini che viaggiano nel golfo. Ritmi popolari che resistono all’alienazione metropolitana, melodie, blues. Il terremoto ha scosso la città da meno di un anno, la guerra di camorra fra NCO e Nuova Famiglia imperversa, il Mediterraneo è uno scenario geo-politico in cui Est e Ovest misurano le proprie forze.
In questo quadro in cui affari loschi ed eserciti regolari e irregolari la fanno da padrone, Pino Daniele fa parlare la sua chitarra. Chiede alla musica il modo di uscire dal Ventre di Napoli, e lo trova. Napul’è è un inno alla città che si specchia nel mare. Chill’è nu buono guaglione racconta il dramma della diversità che si fa devianza prima che diventi il folklore dei Femminielli. Soprattutto il titolo del suo ultimo album, Vai Mò, dice che è giunto il momento di imprimere un senso e una direzione alla propria esistenza, che Napoli rischia di perdere il suo attimo fuggente.
L’anno successivo farà l’ultimo straordinario regalo alla città con Bella ‘Mbriana, il disco che parlerà delle ferite della guerra e dell’emigrazione, che scriverà sui muri di tufo le note segrete di un’esistenza, che segnerà con delicata melanconia il suo distacco da Napoli.
Dovessi scommettere, direi che era tutto già scritto. Che tutto è nato, è finito, con quell’Appocundria che gli scoppiava ogni minuto ‘mpietto. E’ stata lei a ferirgli il cuore e a portarselo via.