Le 4 sfilate di Napoli e la giungla dei social

Questo lungo week end di caldo bestiale e sfilate blindate, commenti abbondanti e aplomb irreali, mi ha riservato due code inaspettate. Una riguarda un mio amico che è stato verbalmente aggredito, con tanto di intimidazione, da un giornalista per aver espresso dubbi sull’efficacia della spesa dei fondi destinati alla disoccupazione regionali e sull’assessore di riferimento. L’altra riguarda me ed è stata una lunga “marcatura a uomo” (36 ore) da parte di una persona che non voleva arrendersi al fatto che forse le valutazioni dei media ufficiali sulla questione D&G andassero integrate. O quantomeno fossero discutibili. La marcatura l’ho fatta terminare bloccandolo (come contatto su fb), ma colgo l’occasione al volo per riprendere la risposta che gli ho mandato, che vale anche per quanti non hanno ben capito che quando suonano le fanfare ufficiali su tutti i media (addirittura Paolo Macry benedice l’operazione sul Cormez senza citare né il comune né il sindaco mezza volta) , l’accordo maggioranza, opposizione, partiti nazionali, planetari, balneari, locali e condominiali è cosa fatta. E il sospetto che Re Giorgio sia il garante dell’operazione, per me è quasi una certezza.
D’altronde chi è avvezzo alla politica sa che il “ce cunuscimme a tant’anni!” funziona sempre. Che prelude, per chi non è d’accordo, all’altrettanto famoso: “pecchè io so’ io e voi nun siete un cazzo!” Io, dal basso della mia irriducibilità, continuo a pensare che sia stata un’avvisaglia che annuncia altri processi di impoverimento e che, se non si correrà ai ripari, ci metteranno tutti con un mandolino in mano e addosso la maglietta del figlio adottato a distanza di D&G per scopi di sviluppo & marketing cittadino, rigorosamente di via dei Tribunali, a far finta di suonare mentre la musica esce da un Iphone, formato mp3. E non mi dite che è meglio questo che la camorra, perché siete i primi che non vi siete persi una puntata di Gomorra (che per molte famiglie è anche uno dei due libri letti dalle ultime 2 generazioni).
Sugli abusi, le condizioni economiche e le contraddizioni stridenti del festival privato per i 30 anni di D&G a Napoli mi sono abbondantemente espresso altrove e non starò ad accanirmi sulla vostra fragile e provata curiosità. Qui mi concentro su quanti hanno chiamato in ballo Venezia, Firenze, Roma, Vogue e i milioni di followers di D&G. A quanti vogliono l’immagine della città riscattata da Sofia contro i cattivi di Gomorra. A chi tifa e parteggia in una vicenda tutta mediatica (perché non tiene in conto nemmeno del più piccolo particolare della vita quotidiana di un napoletano qualunque, se non per elementi di folclore), pensando che se Vogue ci dedicherà la prima pagina le nostre sorti potrebbero diventare favolose. A tutti voi dico questo: c’è un equivoco di fondo. Una città non può essere rappresentata da chi non ne fa parte, a meno che non sia un grande artista. E nel caso di Saviano e di D&G ci troviamo di fronte, nel migliore dei casi, a due ottimi artigiani (con dei colpi di genio, soprattutto per gli stilisti, ma pur sempre artigiani). Ma ammesso e non concesso che fossero artisti, il loro interesse è particolare.
Nel caso di D&G vive quasi esclusivamente nel mondo spettacolare, e quando ne esce per diventare materiale è una continua negazione di diritti: dal distretto tessile della moda internazionale in Bangladesh al sequestro della nostra città, c’è un continuo sacrificio del povero a favore dell’effimero. Per veicolare la loro nuova linea fatta di abiti che sfilano nei vicoli (con tanto di abitanti del luogo assoldati per fare la caricatura di se stessi), per costruire la nuova immagine del brand, si sono affittati la città a prezzo di realizzo, esattamente come pagano un pugno di dollari le commesse nel terzo mondo. Non è che sono cattivi loro, è che il sistema funziona così perché qualcuno lo vuole. Ma cosa accadrebbe se, per assurdo, domani mattina scoppiasse lo scandalo dei bambini sfruttati a 2 dollari al giorno per 14 ore di lavoro per produrre i loro vestiti? Cosa accadrebbe se si scoprisse che, per fare un esempio, tutti i grandi marchi ormai fanno evasione/elusione fiscale alla grande? Quale ritorno di immagine ne avremmo?
Saviano, dal suo canto ha fatto di un’ossessione una narrazione. Lo ha fatto anche lui saccheggiando qua e là (è stato condannato per plagio) ma soprattutto ha potuto farlo perché per oltre 20 anni la camorra è scomparsa dal vocabolario cittadino e dall’agenda politica. Abbiamo cioè abbandonato il campo, lasciando a lui, indubbiamente dotato di talento in questo, il compito di rappresentarci il problema. Quando io ero ragazzo, esistevano cose come l’associazione degli studenti contro la camorra. A quell’epoca, per libri come Gomorra non ci sarebbe stato uno spazio così grande, perché avrebbe raccontato cose conosciute ai più. Oggi non è più così.
L’equivoco sta in quest’assunto. Sia che si tratti di Saviano e i suoi derivati, sia che si tratti di D&G, l’immagine che ne segue non solo è distorta o addirittura irreale, ma è affidata a due soggetti che hanno uno sguardo monoculare e interessato. Per loro l’importante è monetizzare, tutto il resto non conta.
Manca il marketing territoriale fatto dalla città, se proprio vogliamo metterla in questi termini, e non è un’assenza da poco. Perché se una città vuole avere rispetto di sé, se vuole uscire da una subalternità, una visione complessiva la deve pure avere. E da questa nasce la propria strategia di comunicazione, che non può essere affidata a terzi. I terzi possono fare da supplemento, se no non funziona.
E quando si parla di marketing, spesso ci si dimentica che il marketing migliore è la produzione culturale. I romanzi di Elena Ferrante hanno attivato un flusso turistico regolare da diversi anni. E’ un turismo mediamente avvertito, curioso, che si pone domande e cerca di capire. Non si accontenta del Vesuvio e di Pulcinella, di stare in superficie. Prova a prendere, ma anche a lasciare qualcosa. Faranno lo stesso i nuovi ricchi cinesi a caccia del brand D&G made in Vesuvio? O il momento più aulico si risolverà, immaginando ipotesi di grande ritorno del “sacrificio”, in una mitragliata di selfie a San Gregorio Armeno?
Io ricordo il Massimo Troisi che con i suoi lampi, quelli sì di autentico genio, l’uomo che più di tutti provò a far uscire Napoli dall’immagine oleografica che si portava addosso e che è agli antipodi della narrazione fatta da Sofia e D&G: sole, pizza, mandolino e Vesuvio. Io ricordo il Troisi che diceva che a Napoli non è che si debbano per forza mangiare gli spaghetti, mentre se si ammira acriticamente Sofia tutt’al più si arriva a fare i Robertino di turno.
E’ vero, Troisi non c’è più, e ne nasce uno ogni cento anni. Ma in attesa di qualcuno che ci tolga di nuovo gli schiaffi da faccia nei confronti del Nord cattivo, potremmo davvero onorarne la memoria, risparmiandoci di farci rappresentare da chi ci vuole con il mandolino in mano e le lenzuola stese fuori i balconi anche se sono asciutte da due settimane (che non vuol dire mandarlo a casa, ma porsi da pari a pari perché si è culturalmente in grado di farlo).
Ps
Dimenticavo. Stanotte prima di addormentarmi ho sentito un tg che passava una notizia: Il povero Johnny Depp, rovinato dal divorzio, starebbe per vendersi il suo palazzo sul Canal Grande di Venezia per 10 milioni di euro.