La Terra degli Incendi e il silenzio dei responsabili

Stamattina mi ha svegliato un odore dolciastro nelle narici e qualcosa che mi faceva sentire i bronchi indolenziti. Radio Facebook mi ha gentilmente spiegato che sono i roghi tossici della Terra dei fuochi, appiccati con regolarità impressionante nella cintura metropolitana di Napoli. L’aria è diventata velenosa – non da oggi, ma pure oggi – anche se questo pare non preoccupare quasi nessuno. Impotenza e quell’impegno chiamato lavoro spazzano via ogni velleità di fermare questo massacro ambientale, la rivendicazione che l’aria che respiri non può e non deve essere velenosa: come l’acqua, il cibo, il mare, la terra. Dopo aver aperto gli occhi, per qualche minuto ho pensato di essere finito in un brutto sogno. Ieri notte dalla terrazza della casa in cui vivo, nel centro storico, si vedevano le fiamme divorare il monte Molare, quello che si staglia a destra del Vesuvio guardando il golfo di Napoli dal mare, quello che supera di un centinaio di metri il Monte Faito, suo dirimpettaio: ieri ero lì, in linea d’aria non saranno più di 30 chilometri di distanza.

Del 26 agosto, il mio ultimo giorno di vacanza, mi sono rimaste le lingue rosse del fuoco e il fumo bianco della combustione degli alberi. E l’odore penetrante di bruciato, che si attacca addosso e non ti lascia più. Ieri sera, quando ho posato il mio zaino a casa, puzzava come puzza un ciocco di legno sopravvissuto al fuoco. Forse l’indolenzimento dei miei bronchi non è dovuto solo ai roghi della Terra dei fuochi. Forse si sono indolenziti ieri, durante la doppia escursione al Santuario di San Michele, dove di solito si va per ammirare il panorama – che ti regala oltre che il verde rassicurante dei Monti Lattari, magicamente disposti uno a fianco all’altro, un pezzo di azzurro intenso del mare della Costiera – e che invece ieri offriva un altro spettacolo. Il fuoco che attaccava le pendici del Molare come una lebbra, bubboni grandi e piccoli che esplodevano sprigionando fumo bianco in quantità. E poi altri focolai sul versante di Pimonte, nascosti da una vegetazione tanto fitta quanto selvatica. Un assedio rotto dal tambureggiare quasi incessante dell’elicottero antincendio – una creatura minuscola di fronte alla vastità del fronte del fuoco – e del rombo di un canadair, saltuario perché richiamato altrove troppe volte.

Se il fumo mi ha ammaccato i bronchi, quello spettacolo mi ha ammaccato l’anima. E si è preso anche cuore, polmoni e fegato. E ha stordito i pensieri. Non ero il solo a essere lassù. Non ero il solo a provare queste sensazioni. Abbiamo provato a resistere – io, l’uomo e la donna saliti fin lassù per capire – attaccandoci alla logica e al senso di responsabilità. Anche loro trafitti dentro, ma indomiti. Non volevamo cedere, non volevamo dare un centimetro in più di spazio al senso di impotenza che è cresciuto a dismisura in questo mese e mezzo di roghi che sembrano non finire più. Così abbiamo chiesto, al più alto in grado dei vigili del fuoco saliti per le operazioni di spegnimento da terra. Era piuttosto teso ed all’inizio è stato molto sulla difensiva. Ci ha spiegato, che una legge del 2000 ha demandato lo spegnimento degli incendi boschivi agli enti locali e che i vigili del Fuoco dovrebbero essere solo di supporto. Non avrebbero dovuto far nulla, invece erano i soli ad operare. Non c’erano nemmeno i corpi dei volontari che negli ultimi due mesi si sono massacrati di fatica per tentare di arrestare le fiamme. Perché non c’erano, l’avrei capito solo nel tardo pomeriggio. Abbiamo visto i due carabinieri che avrebbero dovuto presiedere alle operazioni di spegnimento, al posto di quella che fu la Guardia Forestale, spaesati come due bambini al primo giorno di scuola, abbiamo sentito una squadra dei vigili del fuoco operare sulle pendici che scendono dal Faito verso Pimonte (c’era troppa vegetazione per vederli), abbiamo visto due autobotti e un autocarro rossi dei pompieri, qualche sparuto uomo della protezione civile. Ma soprattutto abbiamo chiesto, se tutto ciò a loro sembrasse normale, accettabile, degno di un paese che non vuole votarsi a una ineluttabile estinzione.

Da uomo di un corpo “dello Stato”, il vigile di grado più alto ci ha ricordato la siccità – non piove da aprile e la terra è diventata come quella del deserto – e non ha incoraggiato i nostri giudizi che avrebbero voluto inchiodare senza scampo i responsabili di questo disastro. Tanto più netti, definitivi e taglienti quanto impotenti. Però si capiva dalle espressioni del suo viso che in cuor suo ci dava ragione.

Quando son tornato su nel pomeriggio con la mia compagna e una coppia di amici francesi, ho trovato molta più gente della mattina. Assistevamo impotenti e increduli al rogo che si stava mangiando pure quest’altro versante della montagna – dopo essersi preso parte di quello che affaccia sul mare – un rogo che che avrebbe bruciato indisturbato per tutta la notte, perché eravamo al tramonto e le operazioni di terra e soprattutto di cielo erano ormai al termine. Abbiamo scaricato la nostra angoscia in commenti rabbiosi. Sono certo che se avessimo trovato uno solo dei responsabili di quell’ecocidio ci saremmo fatti giustizia da soli. A questo ci hanno ridotto il nostro “Stato” e gli uomini delle nostre istituzioni.
E abbiamo visto gli stessi pompieri che c’erano la mattina, in servizio ormai da un numero di ore imprecisato. Li ho ammirati, per il sacrificio a cui erano costretti e un certo spirito che pareva di abnegazione. Anche qui, però, il sentimento di ammirazione è svanito presto. E’ svanito per rabbia, quando ho sentito che avrebbero passato la notte lassù, e non per tenere d’occhio la situazione o per cercare di evitare il peggio. Erano destinati a rimanere perché la loro missione era esclusivamente una: garantire che le mastodontiche antenne della TV installate a San Michele, RAI, Mediaset, La7 e via discorrendo, non sarebbero state avvolte dalle fiamme. I criminali avrebbero potuto incendiare metà dei Monti Lattari e tutte le case che si trovano sopra Monte Faito e nessuno avrebbe fatto più di tanto, ma se avessero minacciato i ripetitori della tv si sarebbero mobilitati i migliori corpi dello “Stato”. O meglio gli unici rimasti, volontari a parte. Benvenuti nel nuovo Medioevo.

Sono arrabbiato e i miei pensieri sono poco lucidi. Eppure, paradossalmente, le mie convinzioni restano ferme e soprattutto poco confuse. I roghi che divampano per mezza Italia sono frutto di una strategia della tensione messa in atto da una mano criminale. Nessuno lo dice, ma si vede a a occhio nudo. Questo non è un paese per gente coraggiosa: è in mano a dei vigliacchi opportunisti e ostaggio di farabutti idioti. Mi chiedo perché l’unica area del Faito risparmiata a oggi sia il versante che va da Castellammare a Pimonte, dove ci sono piantagioni di marijuana alla luce del sole come fossero campi di granoturco. Mi chiedo perché non arrivi immediata la risposta dello “Stato”, con un’irruzione in grande stile di uomini in divisa in queste aree sottratte a tutti tranne che ai criminali. Nulla ci ripagherà delle centinaia di ettari di bosco andati in fumo, polmoni verdi che ci garantivano un aria meno velenosa, montagne meno pericolose, che ci offrivano la bellezza incantevole della natura senza chiedere nulla in cambio, ma almeno avremmo la sensazione di non essere soli contro i criminali che ci hanno attaccati perché hanno un conto in sospeso con i nostri “rappresentanti istituzionali”. Avremmo la sensazione che esiste da qualche parte nel nostro “Stato” ancora un soggetto o un’idea politica che si batte per fermare questa barbarie infinita.
Mi chiedo se il “governatore sceriffo” non sia altro che un guappo di cartone, bravo a dare la caccia soltanto a immigrati e poveri cristi (sia chiaro: io i guappi li schifo, ma schifo di più chi è forte coi deboli i debole coi forti, e chi si spaccia per quello che non è). Perché fermare i roghi è importante quanto la questione dei migranti o dare soccorso alle gente colpita dal terremoto. Chi non lo capisce è stupido, o in malafede.

La rabbia mi travolge. Non avrò pace finché chi guadagna devastando la natura non troverà che un mucchio di pietre al posto del proprio conto corrente. Non avrò pace finché chi pensa di fare affari uccidendo l’ecosistema – cioè la vita di noi tutti – non avrà quello che si merita: anni di galera e di rieducazione. Mi dà speranza sapere che non sono il solo.