Smacco il clown

“Sono le quattro e trentasette di lunedì sette maggio…”
La voce calda di mia moglie irrompe tirandomi fuori dal sonno e spalancandomi le palpebre. Nella stanza è ancora buio. Un attimo, e mi aggrappo a un frammento di sogno. Pochi secondi.
“Prendete nota, dicono che Chet Baker non sapesse nuotare…”
Radiosveglia. E’ ora di alzarsi.
Quasi dimenticavo. Mia moglie è una speaker e non sta più con me. Lei colora il tempo e la musica a suo piacimento. Io qualche volta la lascio fare. Non so perché. E’ sempre stata il suono della mia vita.
Ancora non si vede, ma è un giorno speciale. Lo fiuto mentre carico la moka di un caffè rimediato dal mio ultimo accordo. Un viaggio di duemilaciquecento chilometri dal profondo Sud all’estremità opposta dell’Europa, da fare in compagnia del mio Millennium, venti mastodontiche tonnellate di TIR. E con un carico imbarazzante: 180 bustine di cocaina nascoste nelle confezioni di caffè. Passando per i cani antidroga, ai valichi di frontiera.
Prima di uscire getto uno sguardo ai miei figli. Sigfrido e Ottilia, undici e dieci anni. Dormono e sanno badare a loro stessi. L’aroma del caffè ha invaso la casa, la musica della madre l’ accompagna in sottofondo. Forse più tardi arriverà anche una dedica.
Apro la porta per andar via. Sul pianerottolo c’è Lisa, la mia dirimpettaia. Ha un corpetto scollacciato, calze a rete rosse, minigonna nera. Lei di professione fa la pornodiva.
“Ho sentito l’aroma di caffè”, dice, “perché non me ne offri una tazza, potremmo passare un’ora insieme”.
“Dormi poco”, osservo io.
“Lavoro. Ho appena finito”.
“Beh, ora tocca a me cominciare”, chiudo io.
“Allora domani”.
“Certo, domani”.
Scendo due rampe di scale quasi scivolando. L’idea di non incontrare Perdono giù in portineria, di scansare la sua raffica di domande insinuazioni, è un vero sollievo. Alla terza rampa inciampo e sto per cadere. Bestemmio e torno indietro, per vedere cosa mia trattenuto il piede. Una corda invisibile, quasi trasparente.
In quel momento la porta del pianerottolo si apre e vedo Smacco vestito di tutto punto, in abiti da lavoro. Smacco fa il clown, più spesso il Pierrot, ma tutti lo chiamano Smacco il Clown.
“Che cazzo ti è saltato in testa?!”, gli urlo soffocando il tono della voce.
Per tutta risposta mi porge un biglietto:
Voglio venire con te
Smacco non parla. Nessuno mai l’ha sentito parlare.
“Dammi retta, non ti conviene. Non sai neppure dove vado”.
Parigi
Pensavo di essere l’unico a saperlo, ma ora davanti a me c’è questo clown figlio di puttana, che grazie a qualche gioco di prestigio sta cercando di fregarmi.
“Perché vuoi andarci?”, gli chiedo con fare duro.
Lavoro
Prendo i tre biglietti e li mette in una tasca.
“Io mi fermo prima”, dico.
Allora lui mi guarda con occhi supplichevoli.
Ho il cuore tenero, io.
Eccoci qua tutti e due a bordo del Millennium a divorare chilometri di autostrada. Scorre nera come la pelle di una battona africana, con le stesse luci, gli stessi movimenti ondulati. Il motore ruggisce: 3000 cavalli, mica uno scherzo. Prendo due birre dal frigo portatile e dico a Smacco di stapparle. Sulla sua faccia vedo spuntare i riflessi di un enigma irrisolto: l’alba.
Ora la partita è con questo sole che illumina campi, alberi e montagne. Niente musica né radio. Qualcosa non va, lo sento da quando siamo saliti. Interrogo Smacco per capirne di più.
“Cosa ci vai a fare fino a Parigi?”
Una sfida
“Che sfida?”
Cento contro uno. Artisti di strada. E un viaggio.
Poi di nuovo la penna traccia segni su un foglio. Stavolta niente parole, solo un disegno: la luna.
Che razza di compagna di viaggio!
Però porta bene. Il confine l’abbiamo superato come se avessimo avuto un salvacondotto. Tutti i doganieri a guardarlo e a sorridere, e lui sempre fermo, perso nella sua fissità insondabile. Solo un gesto, per consegnare il suo documento di identità. Cirano Bourlenguer, e giù un paio di battute sulla stranezza dei nomi, sull’incontrovertibilità del destino. Ci resta poco più di un’ora di luce.
Alla prima stazione di servizio accosto a destra. Scendiamo per sgranchirci le gambe, mangiare qualcosa e dopo ci prepariamo a dormire. Gli offro la cuccetta, ma lui la rifiuta. Preferisce il sedile. E non dorme. Guarda la luna, deve essere innamorato. Tutti i clown sono innamorati. Di mattina è ancora lì, nella stessa posizione. Così gli dico che vado al bagno e che sarebbe bene per lui se mi seguisse. Viene con me. Mentre camminiamo, sento una voce.
“Perché battersi solo quando la vittoria è certa?! No è assai più bello quando inutile!”
Mi volto verso di lui e lo fisso.
“Allora tu parli, maledetto!?”
Forse sono stato troppo aggressivo. Perché adesso non solo non parla, ma pare che neppure più senta. Così decido che è meglio fare finta di nulla. Quando esco dal bagno non lo vedo più. Nemmeno lo trovo. Lo cerco a destra e a manca, dentro e fuori. Alla fine torno alla cabina del Tir. Sul cruscotto ci sono una tessera della polizia è una lettera. Le prendo. Quasi non ci credo, ma a volte la verità è come un razzo che vola senza sapere dove.
Avrei potuto arrestarti. Avrei dovuto farlo alla consegna del carico. Ma quando ho saputo della destinazione è cambiato tutto. Non si può perdere un appuntamento con il destino. Tre cose allineate lungo la strada: la mia vita da clown, la luna e Parigi. La quarta è nel mio nome, e da sempre mi ha costretto a dividere la mia anima in due: giullare di giorno, infiltrato di notte. Non poteva durare in eterno. Parigi e la luna mi aspettavano. La strada mi aspettava. Tu la conosci la strada. Mette insieme sempre le situazioni più strane, fino a quando un giorno ti accorgi che ti stavo aspettando. È quello il tuo momento, altrimenti ti ritrovi come Cirano Bourlenguer: un nome da eroe su un volto da clown.
Smacco
PS perché battersi solo quando la vittoria è certa?
PPS non fidarti di Perdono. Lui fa il doppio gioco.
© Gianni Aniello 1998 All rights reserved
Questo racconto fu scritto nel 1998 durante il lavoro che portò alla pubblicazione de “Il racconto breve”, Edizioni del Delfino, 2000. all’epoca l’internet era agli albori eppure la misura e lo stile si sposano oggi perfettamente a una pubblicazione su web. L’idea editoriale e il coordinamento del gruppo di lavoro fu di Giannino Di Stasio, persona generosa e competente che spesso ha avuto idee che hanno precorso i tempi.