La Vecchia Signora e la paura della bellezza

Non è un paese per juventini. Al massimo è degli juventini, dando a questo aggettivo, volendo, un significato non positivo. Paradossale, ma che dà a mio avviso una buona fotografia della realtà.
Non è un paese per juventini perché storia, tradizioni, cultura, arte del Belpaese esprimono molto di più del pragmatico collezionismo di vittorie in bianco e nero; anzi, a ben pensarci il nostro è da troppi secoli un paese di conquistati, non di conquistatori. Però allo stesso tempo è indubbia la capacità delle zebre di afferrare vittorie, conquistarle, ghermirle. A volte scipparle. Anche quando, e soprattutto, sembrano tagliati fuori, destinati a morire per aver ingurgitato troppo sapore e troppe atmosfere trionfali. Incapaci di una qualunque altra narrazione, cioè di sangue vivo, linfa vitale per ogni successo sportivo.
Così capita, che a seguirle le partite della Juve, ci si possa annoiare. Sono, dal punto di vista della rosa dei giocatori, i più forti, ma sembra quasi che si travestano da squadra più debole. Lo fanno talmente bene che non di rado lo pensi davvero. Come contro la Lazio. La partita era talmente brutta che a un certo punto ho pensato che sarebbe stato non giusto, ma giustissimo, che quest’anno a vincere il campionato fosse il Napoli. Era una verità che ti saltava agli occhi e non potevi non vederla. Ed avevo bisogno di parole per dirla, come minimo a me stesso.
Poi accade l’imponderabile. Accade nel giro di 30 secondi, non di più. Vedi che tutta quella bellezza nascosta, l’ariosità e la sincronia del gioco, la spettacolarità corale nel muovere palla e giocatori, l’abilità estetica nel sorprendere gli avversari, la chiosa quasi artistica del gol, tutte cose che il Napoli offre senza risparmiarsi, né badare a spese, diciamo così, si trasforma in una sorta di carburante. In una determinazione feroce, spietata. E accade che un giocatore come Dybala, che fino a quel momento ha sbagliato quasi tutto, che sembrava un musicista a cui hanno rubato lo strumento, e che vaga per l’orchestra ad elemosinarne uno “per arrangiare”, ma nessuno glielo cede, ovviamente, accade che si inventi un gol che è un capolavoro di tecnica, agonismo e soprattutto irriducibilità. Fa una magia per saltare una linea di difesa più impenetrabile delle mura di un castello medievale e quando si trova il furore agonistico di chi non chi vuole cedere per nulla al mondo – lo ha letteralmente addosso – trova la forza di una zampata da terra. Piaccia o meno, fa un gesto da gladiatore. La Dybala Mask è un’onesta conseguenza, che spiega perché il calcio è un linguaggio universale: tutto sembrava già scritto, invece il finale si capovolge in un istante.
Con il Tottenham, ieri, il copione si è ripetuto. La Juve sembrava una provinciale che doveva limitare i danni nel Tempio del Calcio. Gli avversari non contenibili nemmeno per una delle migliori difese continentali. Straripanti, fisicamente e tecnicamente, con una varietà e intelligenza di gioco in attacco, un incedere nobile, che potevi soltanto ammirare. Eppure la Vecchia Signora barcolla ma non cade. E in 3 minuti infligge due colpi mortali all’avversario.
Dico questo non per celebrarne i successi sportivi, ma perché ho maturato la convinzione che alla Juve temano la bellezza più di ogni altra cosa. Che, in maniera più o meno consapevole, si privino dell’estetica (etica esteriore), per coltivare le cose che ti fanno sopravvivere quando tutti ti hanno abbandonato: l’abnegazione, la capacità di soffrire e un’irriducibile e feroce attaccamento alla vita.
La Juve vince perché ha paura di morire. Vince perché teme che nessuno si ricordi di lei. Vince perché ha attraversato il deserto dei Tartari e sa che può uscire viva da qualunque situazione. E’ una Vecchia Signora, ma ha deciso che qualunque cosa l’aspetti nel campionato dell’al di là, il Paradiso o l’Inferno, lei preferisce la vittoria oggi. Adesso. Finché il 95esimo non le separi.
PS
sul rigore non visto e il fuorigioco occultato sul colpo di testa di Kane. Non cambio idea sul Var, che secondo me toglie più di quello che mette, se è usato così. Sono due episodi che la squadra arbitrale non vede solo se non vuole vedere. E che hanno seriamente rischiato di ribaltare l’esito della qualificazione.