Una casa con le ruote
Il blog di un belga-napoletano
0. Prologo
La colpa, o se preferite il merito, è della mia voce universale. Non ricordo di preciso la prima volta che l’ho sentita, però ricordo che era estate. Ilse ed io stesi all’ombra di un pino nel Parque Natural dell’Estrecho, a Tarifa, una cittadina a Ovest di Gibilterra. Forse volevamo fare una siesta, forse qualcosa in più.
Di fronte a noi, ai bordi delle spiagge, era pieno di furgoncini trasformati in piccoli camper. Con quelli, i surfisti del vento, sembravano godere di un’intensa e spensierata felicità. Fu allora che si fece sentire. C’è qualcosa di geniale nel vivere in questo modo. Nessun affitto da pagare, né luce, né bollette. Mutuo a tasso zero, perché è zero anche la rata. Lo dissi a Ilse, figlia di costruttori ricchi sfondati. Lei mi guardò in silenzio, con uno sguardo indecifrabile. Ancora oggi mi chiedo se quello sguardo fosse dovuto alle anfetamine o a quello che avevo detto. Perché lei, di nascosto, se ne prendeva parecchia di quella roba…
Ma forse è meglio cominciare dall’inizio.
Quando i miei divorziarono, per mio padre, che all’epoca aveva 43 anni, fu un colpo durissimo. Per fare in modo che si distraesse, il venerdì andavamo a ballare insieme, nei locali in cui suo cugino Peter faceva il dj. Peter era un bravo dj. Quella sera suonava al Proeverij, un bel bar del centro. Di solito si entrava, si ordinavano diverse Duvel (un gettonatissimo marchio di birra belga) e si ballava fino a quando il numero di Duvel bevute non ti faceva baciare una ragazza che avevi appena conosciuto. C’era parecchia gente quella sera al centro della pista. Nonostante la visuale fosse praticamente ostruita, si notavano alcune ragazze. Erano alte, bionde e scatenate come valchirie. Una lo era più delle altre. Avrei scoperto di lì a poco che erano Ilse e le sue sorelle.
A un tratto cominciarono a invocare il nome di Peter. Era chiaro che lo stessero prendendo in giro, ma Peter ci cascò, lasciò la postazione e andò a ballare, portandosi dietro i suoi denti da coniglio e le movenze da involontario attore comico. Non era bello Peter, ma molto simpatico sì. E in quel frangente davvero ridicolo.
Ridevamo tutti da matti e io mi ritrovai vicino alle valchirie. Ballavano rivolte verso Peter per provocarne le reazioni scomposte, che arrivavano puntuali, insieme alle risate di tutti. All’improvviso una di loro si gira e io incrocio i suoi occhi turchese. Ha i capelli biondi e nell’insieme mi pare un incanto. Se esiste un angelo donna, pensai in un istante, l’ho trovato io. “Ehi, bello, un’altra Duvel?”, mi chiese sorridendo.
Nemmeno in uno spot pubblicitario sarebbe andata così.
Ballammo fino a notte fonda. Lei ordinava cocktail di continuo, che peraltro costavano una fortuna. Poi verso le quattro mi chiese di andare in un altro locale. Salutai mio padre che ballava sul palco con un boccale di birra in mano. “Ci vediamo a casa”.
Sfrecciammo con la sua Peugeut 306 cabrio per le strade della città a una velocità folle, soprattutto considerando il tasso alcolico che aveva nel sangue. E quando il tetto della sua macchina si aprì per l’attrito con l’aria, noi ci mettemmo a cantare a squarciagola, come due anime gemelle che si sono ritrovate dopo una guerra. Prese anche una rotonda contromano. A metà si fermò, mise una mano sulla bocca, e gridò “uuuhuuuuuuu”. Voleva dire scusa. Qualche ora dopo mi svegliai nudo nel suo letto. Che cosa straordinaria sa essere a volte la vita!
Il prologo e la voce universale sono piacevolissimi: scorrevoli ed accattivanti, come piace a me. Non vedo l’ora di leggere il capitolo 2…e tanti altri ancora.