Una casa con le ruote

Il blog di un Belga-Napoletano

1. La voce universale

Ilse veniva da una famiglia di costruttori ricchi sfondati. Dirigeva un centro sulla corretta nutrizione e per problemi di obesità. Il fatto che fosse suo le dava un privilegio che le invidiavo apertamente: poteva assentarsi quando e quanto voleva. Così all’improvviso decidemmo di andare in Andalusia e lei non ebbe problemi.

A Malaga atterrammo di sera. Affittammo subito un’auto. Per risparmiare qualche soldo, le proposi di dormirci dentro. Pensavo che avrebbe rifiutato, magari anche un po’ sdegnata, invece disse sì, e lo fece convinta. C’era un che di avventuroso nel farlo, credo che le piacque questo. Cominciò così il nostro roadtrip: ogni sera dormivamo in un posto diverso e ogni giorno mangiavamo qualcosa di diverso.

La prima volta che giungemmo sulla costa, vedere le case bianche e il mare color turchese, così diverso dal Mare del Nord, mi emozionò. Cominciai a esercitare quel poco di spagnolo che sapevo. Forse la ragione per cui mi piaceva così tanto parlarlo stava in quei colori.

Ilse era un’ottima compagna, ridevamo tanto, una ragazza semplice che adorava la vita e fare l’amore. E io in quel viaggio cominciai a provare le quattro cose che, senza saperlo, avevo sempre desiderato: sole, mare, amore e libertà.

Un pomeriggio arrivammo in un bar inglese di Puerto Bañus. Il proprietario fu colpito degli occhi di Ilse. Come faccio a saperlo, vi chiederete. Perché mentre mi bevevo mio gazpacho fresco alzò al massimo il volume della musica, “blue eyeees, my baby’s got blue eyeees”. La voce di di Elton John risuonò per un raggio di decine e decine di metri. Il momento era magico: la baciai con passione.

Ventiquattr’ore dopo eravamo a Tarifa, una piccola cittadina a Ovest di Gibilterra.
Ilse ed io, con di fronte un assembramento di furgoncini.
Ilse, ragazza da rivista patinata, scheggia impazzita di bellezza. Che attraversava la notte come un fiore acerbo splende in una serra artificiale. E la mia voce universale.

Si sarebbe rifatta viva anni dopo, a Tenerife. La voce, intendo. Davanti a me surfisti e hippy mangiavano di gusto e facevano delle sieste memorabili in quei camioncini. Sembravano pervasi da una profonda gioia di vivere.
Ho impiegato 13 anni per ascoltarne il suggerimento. Cioè, per prendere un furgoncino anch’io e farne la mia casa. E’ successo nel 2013.

A dire il vero fu lui a venire da me. Un fantastico Multivan Volkswagen dell’89, l’anno della caduta del muro di Berlino. Il colore della carrozzeria, rosso porpora, sembrava sbiadito dal tempo e lo rendeva ancora più bello. Me ne innamorai subito. La furbizia del venditore fece il resto.

Non so se è stato un amore felice, di certo non è durato a lungo. La parte meccanica era messa assai male, si guastava spesso e mi costringeva a continue spese. E spese per me vuol dire più lavoro e meno libertà.

All’epoca facevo l’istruttore di vela. Lavoravo sei mesi all’anno. Gli altri sei me ne andavo in giro per il mondo.
Decisi di parcheggiarlo nella darsena dove ha sede il circolo velico per cui lavoravo. Li c’erano anche bagni e docce per i diportisti. Diventò il mio appartamento. Definirlo spartano è dir poco. Un letto e un posto dove mangiare, senza luce né altro comfort. Però era un sacrificio che facevo volentieri, perché coi soldi di affitto che risparmiavo poi mi sarei comprato un inverno da passare in un posto assai bello. E soprattutto caldo.

Quando cambiò la legge sulla manutenzione dei veicoli, il nostro rapporto cominciò a incrinarsi. Mi sarei dovuto presentare all’esame per la revisione con un furgoncino in perfetto stato. Lo affidai al mio meccanico e me ne andai a Cuba.

Erwin, il meccanico, mi richiamò qualche settimana dopo.
“Per far passare la revisione al mezzo devi spendere almeno mille euro. Forse ti conviene venderlo”.
Aggiunse che anche dopo la revisione, sarei andato incontro a continue spese. L’unico modo che avevo di salvarlo è farlo smontare pezzo per pezzo e restaurarlo. Probabilmente non me la sarei cavata con meno di diecimila euro.

Decisi di venderlo, e lì finì la nostra storia. Quando lo feci, mi ricordai della storia d’amore con Ilse dagli occhi blu.

PS
Per i più curiosi: ecco come finì la mia storia con Ilse.
Un giorno sparì senza una spiegazione. Soltanto dopo due settimane mi arrivò un suo Sms, dove mi raccontava che era in Svizzera in un centro di recupero per tossicodipendenti, ovviamente tra i più esclusivi.
Ero molto deluso e arrabbiato, eravamo appena tornati da un viaggio in
Israele. Pensavo alle conseguenze che avremmo potuto avere se l’avessero scoperta ai check in, ma la verità è che qualcosa si era rotto dentro. Irrimediabilmente.

Se però ho imparato a sentire mia voce universale, lo devo anche a lei. Al suo avermi fatto vedere che dove c’è un contrasto la vita è più profonda. Ilse viveva a una velocità pazzesca perché amava le profondità, ma allo stesso tempo aveva paura di attraversarle. Le sue inebrianti accelerazioni mi hanno portato in cielo, ma mi hanno anche fatto capire che sono di questa terra. Che sono umano, con la forza e la fragilità che questo comporta. E allora sono ripartito da lì.

 

Il secondo capitolo, “Armen”, sarà disponibile a partire da domenica, 29 marzo 2020 alle ore 8