Una casa con le ruote
Il blog di un belga-napoletano
2. Armen
Venduto il Volkswagen, avevo tre opzioni. Diventare un senza fissa dimora e trovarmi un ponte sotto il quale passare le mie notti estive; affittarmi una casa, o almeno una stanza; comprarne uno nuovo. Facile intuire: ho scelto la terza.
Stavolta però, per evitare un’altra fregatura, ho deciso di chiedere l’aiuto del mio amico Armen.
Armen sembra fuggito dal set di un film di Kusturica. Lo ha fatto portandosi alcune pagine della sceneggiatura. A vederlo, la prima impressione che fa, è quella di uno che ha appena concluso un affare con la mafia russa. E in effetti è una cosa che potrebbe fare. Ma ha scelto strade migliori e soprattutto ha una storia che avrebbe piegato in quattro molti di quelli che sono pronti a giudicarlo con facilità.
Quando comprai il Volkswaken lui era a lutto, perché gli era morta la madre. Così feci da solo. Mi è costato molto non solo in termini di denaro, ma anche in reputazione. Per anni, ogni volta che vedeva il mio furgoncino mi diceva: “che furgone di merda che hai comprato. Hai pagato una fortuna per un catorcio”.
Stavolta non commetterò lo stesso errore.
Così vado da lui, anche se la nostra amicizia è in crisi da un bel po’. Ma io so che dietro la rudezza ha un cuore grande. E che per questo mi aiuterà lo stesso. Lo so dal primo giorno che ci incontrammo.
Armen e io ci conoscemmo parecchi anni fa, al Sunparks, un villaggio turistico di De Haan, meta rinomata della costa belga. Facevamo i bagnini nella piscina tropicale. Negli spogliatoi ci incrociavamo spesso, entrambi alle prese con degli armadietti di ferro come quelli che si vedono nei film polizieschi americani. Avevo capito che quello straniero basso e robusto, con la pelle olivastra e il collo taurino, aveva qualcosa di buono dentro. Mi era istintivamente simpatico.
Diventammo amici il giorno in cui un inglese saltò da un balcone del primo piano direttamente in piscina. Era chiaramente ubriaco. Io fischiai deciso e mi diressi verso di lui per cacciarlo. Lui si alzò e cominciò a venire minaccioso verso di me. Non mi ero accorto che era alto almeno uno e novanta, che era molto muscoloso e che aveva un enorme tatuaggio dello stadio dell’Arsenal dietro la schiena.
Non avevo molto tempo e non sapevo come uscirne. Stavo quasi per scappare quando vidi Armen arrivare come un bisonte, bestemmiando in armeno e con uno sguardo di fuoco. Si fissarono per qualche secondo, poi l’inglese abbassò il capo e se ne andò in silenzio.
“E’ solo una checca inglese”, mi disse facendomi l’occhiolino. Eravamo amici.
Dopo circa una settimana mi invitò a casa sua e mi presentò con un certo orgoglio all’intera comunità armena di Kortrijk, la cittadina in cui viveva. Aveva una casa molto modesta, ma aveva aggiustato, ridipinto e abbellito tutto quello che era possibile. Era molto considerato dalla sua gente e ancor di più rispettato. Sembrava un boss, con il suo inseparabile capo di abbigliamento nero e griffato Armani, il debole per le collane e gli anelli d’oro massiccio e gli oggetti di lusso parecchio kitsch che spuntavano ogni tanto da qualche parte.
Così conobbi anche la sua famiglia e in particolare la moglie, Nasik, per cui nutre un’adorazione. Nasik è una donna dolcissima, estremamente religiosa, che ha imparato un fiammingo perfetto leggendo la bibbia e frequentando la chiesa, a differenza di Armen, che dopo trent’anni ancora non riesce a coniugare bene i verbi e che si arrabbia quando capisce che la gente lo snobba per questo motivo.
Nasik è anche una cuoca straordinaria, fa delle torte magnifiche, che non di rado vende a bar e pasticcerie. Ha sempre avuto per me un amore e una dedizione autentici, anche se nelle lunghissime chiacchierate che facevamo in cucina cercava sempre di suscitare in me una fervente fede nel cattolicesimo. Lo faceva con estrema grazia. Per lei ero come un figlio, e quando mi chiamava “il nostro Jacob”, c’era una tale dolcezza in quelle parole che dovevo ricacciare le lacrime in gola, anche perché esprimeva un amore che mia madre mi ha sempre negato.
I problemi con Armen sono cominiciati quando è morta sua madre, Seda, un’altra figura femminile straordinaria. Si deve essere sentito, lui orgoglioso e con la pelle scura, ancor di più straniero in Belgio.
Ha continuato a ripetermi sempre più spesso una cosa che fino ad allora mi aveva detto solo una volta.
“Io potrei essere ricco perché conosco tutti nella comunità armena russa”. Intendeva la mala. “Ma non voglio andare in prigione. Mia moglie e i miei figli hanno bisogno di me. Mio padre ha bisogno di me.”
Poi un giorno andai a trovarlo, dopo aver trascorso gran parte della settimana a Oostende a casa di Nick, uno dei miei migliori amici.
“Perché passi così tanto tempo con Nick?”, mi chiese.
“Perché siamo amici”.
“E cosa fate?”
“Parliamo, guardiamo dei film, ci beviamo una birra…”
“Mica siete finocchi?”.
Mi scappò una sonora risata.
“No, Armen, non siamo finocchi”.
“Mia madre Seda diceva che forse eri finocchio. Diceva: non si sposa, da due anni non ha una ragazza, forse è finocchio”.
Rido di nuovo.
“Me lo ricordo. Una volta mi chiese: perché non ti sposi una ragazza di sani principi della nostra comunità? Io le risposi: ma io non sono fatto per il matrimonio. Sarebbe un disastro. Io non ho nemmeno un lavoro fisso, e poi voglio essere libero. Ora capisco perché mi guardava strano quando lo dicevo”.
“Ahaaa, grande donna mia madre”, dice con la voce impastata di sofferenza.
Seda, la madre di Armen, era paziente, premurosa e con un cuore grande come suo figlio. Ci restava male quando le dicevo che non mi sarei sposato, ma non potevo di certo cambiare idea per accontentarla.
Ora che sto andando da lui, per comprare il nuovo furgone, molti ricordi affiorano. E mi accorgo che troppe cose sono in sospeso.
Il terzo capitolo, “Il nuovo Furgoncino”, sarà disponibile a partire dal 1 aprile 2020 alle ore 8. Non faremo scherzi 😉