Una casa con le ruote

Il blog di un belga-napoletano

 6. Renaud

 

Il giorno dopo dopo sono andato in bici a Juan les Pins, che è una frazione di Antibes, alla ricerca dell’altro mio ex collega. 

Renaud ed io avevamo alcune cose in comune: entrambi eravamo abbastanza alti, avevamo i capelli biondi ma soprattutto avevamo una certa originalità che, in quegli ambienti dove circolavano tanti soldi e dove lo status era continuamente misurato e riverito, non di rado veniva scambiata per una vena di follia. Ci stavamo, per questo, naturalmente simpatici.
I miei ricordi mi hanno fatto puntare verso alcune uffici di Port Gallice, che come molte costruzioni in questa località affacciano sul mare.

Nonostante mancassi da dieci anni, arrivato lì ho riconosciuto tutto. Trovarlo è stato più semplice di quello che avevo preventivato.
Apro la porta e entro.
La prima persona che incontro è lui, anche se adesso dietro la scrivania ha la poltrona tipica del capo.
“Ehi, Jacob! Cosa ci fai qui?!”, esclama mentre mi viene incontro, piacevolmente sorpreso.
Mi offre un caffé e mi presenta ai suoi collaboratori. Il tempo di consumarlo a la nostra conversazione finisce.
“Scusami, ma adesso dobbiamo lavorare. Sentiamoci nel tardo pomeriggio”.
Non lo ricordavo così serio, dieci anni fa di certo mi avrebbe dedicato qualche minuto in più.

Uscito dal suo ufficio, cerco un posto dove fare il bagno. Oggi c’è un bel sole, vale la pena approfittarne.
Trovo una baia circondata da una serie di ville che risalgono probabilmente a metà del ‘900, forse anche prima. Muretti e siepi, che lasciano intravedere giardini e case in pietra molto eleganti, tutte con il patio. Appena dall’altro lato della strada, il mare. Sulla riva ci sono i resti di alcuni muri bassi. Probabilmente erano il perimetro di piscine naturali che si creavano sfruttando il gioco delle maree. I resti mi affascinano. Mi chiedo come dovevano essere quando erano ancora intere e in uso. La mia immaginazione mi riporta indietro nel tempo. Vedo il tramonto che si avvicina e mamme con bambini in costume d’epoca, alcune sedute, altre che danno indicazioni alle tate di riportare i figli fuori dall’acqua. Il mio viaggio spazio temporale è interrotto dal trillo del messaggio di Sophie:
“Sono con Julie, se vuoi ti veniamo a prendere e torniamo a casa”.
Le rispondo che in serata ho appuntamento con Renaud. E poiché ieri lei me ne ha parlato come se fossero amici, le dico che magari può unirsi a noi.
Accetta la proposta.

Poco prima del tramonto faccio l’ultimo bagno e poi vado a comprare una bottiglia di vino. Ma prendo anche pane e formaggio, perché con Renaud non sai mai cosa aspettarti.
La scelta del vino mi mette un po’ in crisi. Renaud è un grande intenditore. Per fortuna nel reparto vini dei supermercati francesi ci sono sempre delle bottiglie incoronate con il vessillo di qualche premio vinto. Penso: almeno ci presentiamo con un pedigreè, poi chissenefrega se lo snobba.
Esco dal supermercato e lo chiamo.
“Cazzo! Mi ero completamente dimenticato di te!”, mi confessa candidamente.
Non mi sento offeso, perché Renaud è così, mezzo matto. Mi dà il suo indirizzo e mi dice di raggiungerlo.

Quando arrivo suono il citofono. Mi viene incontro per fare strada. Entriamo in ascensore e saliamo.
La casa è bellissima. Ad accoglierci un soggiorno da cui si domina l’intera baia di Juan Le Pins. C’è ancora la signora delle pulizie, così mi invita al piano superiore.
“Porta la bottiglia, hai avuto una grande idea”, mi dice sorridendo.
Su ci sono David, il suo migliore amico da sempre, nonché proprietario di uno dei ristoranti più eleganti della costa, e un uomo sui trent’anni in giacca e cravatta. Ha la carnagione scura e la barba, sembra spagnolo. E’ Benoit, il direttore della banca di cui Renaud è cliente privilegiato.
All’inizio sembra piuttosto sulle sue. Poi dopo qualche battuta si apre e si rilassa.
Fino alla fatidica domanda:
“Che lavoro fai?”
Di certo non può saperlo, ma una delle domande più comuni del mondo con me non funziona. Equivale a chiedere a un bradipo in quanto tempo corre i cento metri. Non c’è risposta, tentare di darla è come pensare di cronometrarlo.
Così gli spiego tutto senza fronzoli.
“Cerco di non lavorare, perché il lavoro mi svuota dentro e cancella la mia libertà. Al momento ci riesco sei mesi all’anno, gli altri sei mi tocca fare l’istruttore di vela. E’ dura, ma non mi lamento. Per risparmiare denaro vivo in un furgoncino attrezzato. Spendo poco e mi privo di molti beni di consumo, ma quando sono libero vivo intensamente. Infatti ora sto girando l’Europa e vado verso Sud, perché ho i sei mesi liberi… Ed eccomi qua.”

Mentre parlo, David, che è vestito con capi casual griffati, non smette mai di far sentire un risolino di sottofondo. Credo di averli spiazzati. Nelle loro frequentazioni non deve capitargli spesso qualcuno a cui non importa della considerazione sociale e lo dice senza problemi.
Renaud va a prendere uno champagne rosato buonissimo, che accompagna con un prosciutto spagnolo, qualcosa tipo Pata Negra, ma ancora più pregiato.
Mi raccontano che sono appena tornati da Calp, una delle mete turistiche più esclusive della Costa Blanca, dove David ha una casa di famiglia.
“Per noi ormai è una tradizione”, mi spiega Renaud – “ci andiamo ogni fine estate”.

“Io invece ho accettato di essere un perdente”- gli rispondo sorridendo – “Non possiamo essere tutti belli, ricchi e invidiati”. E’ una frase che viene in parte dalla mia voce universale, ma per un’altra l’ho letta in un libro. Stavolta la trasmissione dall’alto è stata disturbata dalla mia memoria.
Per qualche secondo cala il silenzio.
Poi Benoit dice: “Al contrario, tu sei un vincente. Fai quello che vuoi e non ti fai guidare dalla paura”.
Non me l’aspettavo, che mostrasse il suo lato umano e vulnerabile.
“Il mio lavoro non mi piace – aggiunge – ma non so fare altro. E’ la vita…”
“Io invece continuo a bere vino senza controllo. Ormai in quella che era la mia fornitissima cantina non c’è più nulla”, dice Renaud.
La mia sincerità un po’ rude deve aver trasformato la stanza in una specie di confessionale.
“E da sei mesi non tocco più la coca, dopo 30 anni di onorato e regolare consumo”, poi aggiunge.
Mi guarda negli occhi. E’ invecchiato e ha uno sguardo perso.
“Da quando mio figlio mi ha detto che mi avrebbe cancellato dalla sua vita, altrimenti”.

“Ahaaa, sto invecchiando… Le mie ossa sono fragili” – riprende – “ Ho già dovuto sostituire un’anca per l’osteoporosi. Il dottore dice che succede ai surfisti e a chi ha sniffato molto… Io di surf ne ho fatto parecchio…”
“Nel tuo caso non è stato il surf”, gli dico in tono scherzoso.
Scoppiamo tutti a ridere.
Poi squilla il telefono di Renaud.
“E’ Sophie! Non rispondo”.
Nemmeno un minuto dopo squilla il mio.
“Non rispondere!” – mi ammonisce – “è una serata tra uomini, non la sopporto”.
“Ma è giù al portone…”
“Com’è possibile?!”
“Perché gliel’ho detto io…”
Provo un certo imbarazzo e arrossisco.
“Non farti rosso, fa niente…” mi dice Renaud sorridendo.
Sophie entra con la solita irrefrenabile energia. Si muove di continuo e non smette mai di parlare, cerca di mascherare il disagio.
C’è una tensione latente e non capisco da dove nasca.
Quando Pascaline racconta che si è disintossicata e che è completamente fuori dal giro della cocaina, il viso di Renaud torna rilassato.
Ora tutto è chiaro.
Aveva paura di cadere davanti polvere magica come una foglia in autunno.
Penso che sono stato fortunato a non essere mai stato dipendente da nessuna droga.
Anche se una dipendenza l’ho avuta: l’amore che mi è mancato da piccolo da mia madre. Ma col tempo ho fatto enormi passi in avanti. E forse un giorno non lontano riuscirò io a vincere la paura di amare che nasce da lì.

Dopo il prosciutto e le chiacchiere Sophie ci invita tutti a casa sua, dove Julie ha fatto una splendida lasagna con pasta fresca. E’ tirata a lucido, in procinto di partire per la Svizzera. Indossa un corpetto che esalta i suoi giovani e turgidi seni, rossastri per l’abbronzatura nella parte visibile. Sembra proprio lei la donna di casa.

La lasagna è buona e tutti la mangiamo con appetito.
L’atmosfera è rilassata e conviviale.

Il giorno dopo ho fatto il bucato nella lavatrice di Sophie. Quando ho finito lei mi ha fatto da guida.

E’ stata molto dolce. Siamo andati al faro, dove si vedeva l’aeroporto di Nizza. Poi nel centro storico di Antibes, pieno di inglesi, perché da sempre ci sono cantieri importanti per le barche dei cittadini di Sua Maestà.
La sera abbiamo mangiato di nuovo insieme. Il cielo si stava annuvolando. Era giunto il tempo di andare verso Sud.

 

Il prossimo capitolo, “Cacela Velha”, sarà disponibile dal 20 aprile 2020 alle ore 8