Una casa con le ruote

Il blog di un belga-napoletano

7. Cacela Velha

 

Sono in Algarve, una regione meravigliosa tra il la Spagna e il Portogallo, ma sta piovendo e non so se rimanere o dirigermi a Est, verso la Costa de La Luz. Nel dubbio metto in moto e parto. Prendo la nazionale per risparmiare i pedaggi, che in autostrada sono parecchio alti. Ben presto me ne pento. I limiti di velocità cambiano di continuo: 30, 40, 50, 70, poi di nuovo 30, poi 90… Dopo un’ora e mezzo ho superato il limite, non della velocità, del mio stress. Guardo per un attimo verso destra, vedo una bella luce e un mare che sembra chiamarmi. Non ci penso un attimo, metto la freccia e giro.

Mi inoltro per stradine di campagna. Oltre i margini della carreggiata ulivi e campi, quasi tutti incolti, poi, dopo un po’ di chilometri, trovo un’indicazione: “Fabrica de Cacela Velha”. La seguo senza sapere dove arriverò. Sbuco in una piazzetta con un chiosco, un ristorantino e otto case.
A movimentare la piazza ci sono tre vecchi e alcuni cani. Hanno una faccia che sembra uscita da un’altra epoca e nessuno di loro ha un cellulare in mano. Sembrano pescatori in pensione e i cani sono più vecchi di loro. Capisco all’istante che mi fermerò qui.
Faccio un giro e scopro case bianche, da persone benestanti, con palme e terrazze bellissime.
Scelgo di fare base davanti alle uniche a due ville abitate.

Nei giorni successivi scopro che ci vivono due coppie di inglesi. La donna della prima abitazione ha la pelle molto chiara e i capelli rossi, veste sempre in abiti maschili e ama profondamente gli animali. Sembra Pippi Calzelunghe da adulta, ne ha pure i modi dolci e sorridenti. Esce a occuparsi dei gatti randagi e così scambiamo qualche parola. Parla un inglese molto british, dizione perfetta, una cosa che mi ha sempre affascinato. Dopo qualche minuto arriva il suo compagno. E’ molto simpatico, ci prendiamo subito. Anche lui ha una dizione quasi impeccabile, ma qualcosa non mi torna. Impiego tre o quattro minuti a capirlo, poi afferro l’anomalia.
“Ma tu sei italiano!”, gli dico nella sua lingua, sorprendendolo non poco.
Per un attimo resta stupito, ma si presenta con un grande sorriso: “Piacere, Jacopo”.
Parliamo a lungo, ovviamente dell’Italia e dei miei sei anni napoletani. Lui è di Perugia.
“Se non fossi biondo e con la carnagione così chiara avrei potuto davvero scambiarti per napoletano”, mi dice dopo un po’ scherzando.
Mi racconta che si sono trasferiti là perché hanno voluto cambiare vita, lontano dalle città, per avere intorno la bellezza della natura. D’estate lavora in un ristorante sul mare, a Bristol. E raggiunge Ann, la sua compagna, negli altri mesi. Un po’ come faccio io con il mio lavoro di istruttore di vela. Solo che non ho una casa e una compagna da raggiungere e allora viaggio.
L’altra coppia è più riservata, ma ogni tanto riesco comunque a scambiare qualche parola. Anche loro parlano un inglese molto elegante.

Ho dei vicini parcheggiati ai miei fianchi. Un camper olandese con due pensionati a bordo e un grande furgone d’epoca guidato da un inglese.
Gli Olandesi ogni pomeriggio bevono te e mangiano biscotti.
All’inizio sembravano freddi, ma dopo qualche chiacchiera ben assestata sono diventati socievoli.
René si porta addosso le sofferenze della vita, Piet assomiglia a quello che si direbbe un intellettuale. La loro storia me lo conferma.
René era meccanico sulle navi.
“Mi pagavano bene”, mi dice “ma facevo dei turni che nemmeno all’inferno…”
Il sacrificio della fatica e il sonno perso li porta tutti sul viso, segnato da rughe profonde e da uno sguardo velato di malinconia. E una certa rudezza dei modi, per quanto molto blandita dalla sua nuova vita.
Al contrario Piet è pacato e ha un viso rilassato. Mi conferma che ha studiato, è stato prima ricercatore all’Università e poi consulente d’azienda. Legge molto e mi fa domande interessanti.
“Perché viaggi da solo?”, mi ha chiesto ieri.
“E’ il prezzo che devo pagare per la mia libertà”, gli ho risposto.
Mi ha sorriso.
“Pensi che essere solo dia maggiore libertà? Voglio dire, non avere una donna?”, ha osservato.
“Quello che le donne vogliono io non riesco a darglielo: casa, sicurezza, soldi…”, gli ho replicato.
Mi ha guardato come se mi avesse letto dentro e poi è tornato al suo tavolino.

L’altro vicino è molto alla mano, si chiama Mark. Altezza media, pancia prominente, qualche tatuaggio di troppo. Guida un mezzo invidiabile, un Mercedes del 1980, che ha preso quando aveva appena trentacinquemila chilometri e che una volta era in dotazione alla Croce Rossa tedesca. Lo ha rimesso a nuovo in maniera fantastica, arredandolo come una casa vera. Mi racconta che ha la passione delle moto e mi mostra la sua collezione dal cellullare. Le più belle sono una Triumph Bonneville d’epoca e una Chopper Custom che si è costruito praticamente da solo, con la tipica ruota posteriore enorme.
“E sono anche padre di quattro figlie”, aggiunge orgoglioso.
“E tu?”
“Io non ne ho, non è capitato”, gli ho risposto in maniera sbrigativa. Mi seccava di ripetere la solita filastrocca.
“Nemmeno la mia nuova compagna ne vuole”, mi risponde con tenerezza.
Quattro figlie e non gli bastano, ho pensato tra me e me. Forse vuole un figlio maschio. Forse vuole disseminare il mondo di figli, come un pastore protestante dell’800, anche se somiglia di più a un marinaio di un vascello da guerra della Marina di Sua Maestà. O forse è l’inquietudine che lo costringe a muoversi di continuo, in attesa di salire sulle moto con le figlie e fare una corsa memorabile verso la felicità.

Siamo parcheggiati ai confini di una riserva naturale. Per raggiungere il mare bisogna superare un lago, oltre il quale ci sono delle dune e poi l’Atlantico. Un posto meraviglioso. Ho fatto qualche piccola esplorazione e ho scoperto delle ville magnifiche, nascoste nella vegetazione. Due volte ho attraversato il lago per arrivare sulla spiaggia deserta. Due volte sulla sabbia ho trovato una moneta da un euro. Mi è sembrato un messaggio della mia voce universale: come se la sabbia volesse offrirmi qualcosa da bere.

Mi sono fermato più di una settimana, talmente era bello quel posto. Si dormiva anche magnificamente, a parte qualche mattina, quando venivo svegliato dalle voci dei pescatori di vongole.
L’ultimo giorno è stato emozionante. Sono andato a salutare a una a una le persone che conoscevo, e in risposta ho avuto il calore umano che ti riserva chi è veramente amico. Quando sono entrato nel furgone e ho chiuso lo sportello per ripartire ho avuto la sensazione che mi stessi chiudendo la porta di casa alle spalle.

PS
mentre scrivo queste note sono davanti al mare di Fuerteventura. Vedo gli uccelli bianchi che sfiorano l’azzurro del mare increspato. Il loro battito d’ali mi rende felice.

 

 

Il capitolo 8, “L’imbarco”, sarà disponibile dal 26 aprile 2020 alle ore 8